Kafka by Mauro Covacich

Kafka by Mauro Covacich

autore:Mauro Covacich [Covacich, Mauro]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2024-04-15T00:00:00+00:00


Torturato e torturatore

Ma se tutti noi viventi siamo colpevoli, il più colpevole resta lo scrittore. La colpa di Franz non è di essere un marito mancato, o un figlio complessato, o un burocrate, o un ebreo agnostico (“il più occidentale degli ebrei occidentali”, così come il proprietario del castello è il conte Westwest), la sua colpa è il piacere che prova a dar vita a quanto di più assurdo e abietto esca dalla sua mente. Usare il dolore del mondo per questo piacere, ecco la colpa dello scrittore. Il dolore sgorga e lui se ne ciba per scriverne, lo traduce in tortura. “Non mi occupo d’altro che di essere torturato e di torturare” (lettera a Milena, 15 novembre 1920). La colonia penale è il giusto castigo e insieme la messa in opera di una simile inclinazione.

In un penitenziario a regime duro un soldato viene giustiziato attraverso il lento lavorio di una macchina che inciderà sulla sua schiena l’ordine a cui ha disubbidito, il tutto sotto la supervisione di un ufficiale particolarmente zelante e di un visitatore arrivato da chissà dove, forse piovuto dal cielo, che finirà per manifestare il suo compostissimo sdegno. Leggenda vuole che alla presentazione della Colonia penale in una libreria di Monaco, l’unico intervento pubblico di Kafka in Germania, durante la lettura in molti abbiano abbandonato la sala e una donna sia stata colta da malore. Forse però, mi viene da pensare, queste persone non hanno fatto in tempo ad accorgersi che Franz stava parlando di sé.

Più rileggo questo racconto e più mi convinco che i protagonisti – l’ufficiale, l’esploratore e il condannato – sono in realtà tre diverse manifestazioni della stessa figura, le tre ipostasi dello scrittore. L’ufficiale ratifica la scrittura nello spazio pubblico come atto che porta a compimento l’intero processo creativo, l’ufficiale è l’ipostasi editoriale, certifica il destino segnato di un testo verso la sua pubblicazione. L’esploratore invece è colui che avanza nell’ignoto, l’uomo (o la donna) che si imbatte nella scrittura come rivelazione, unica scoperta inaggirabile e definitiva. La riluttanza dell’esploratore di fronte alla macchina e alla barbarie di cui è testimone non fa che provare quanto sia sconvolgente il risultato della sua ricerca. Il condannato, al contrario, non teme la macchina, vi si sottopone di buon grado come unica forma di conoscenza possibile quanto alla propria colpa. Il condannato è l’ipostasi dello scrittore in ascolto del corpo, la scrittura come discorso delle sue ferite. La carne è eloquente, il supplizio fa affiorare, o meglio ancora, fa fiorire il testo, la sua fioritura è la perfetta combinazione di giustizia e bellezza. L’erpice infatti incide la sentenza contornandola di motivi ornamentali. Ecco la scrittura, una cosa bella che fa male fino a morirne. Potrebbe anche essere un tatuaggio di oggi, solo preso molto sul serio, senza baldanza, semmai con profonda umiltà, un bel tatuaggio letale, visto che “la colpevolezza è sempre fuori discussione”.

L’apparecchio cigolante al centro del racconto non è un’ascia, non rompe il mare ghiacciato, ma è comunque a servizio dello stesso principio. Páthei máthos, avrebbe detto Eschilo, apprendere attraverso la sofferenza.



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